Scienze dell'Educazione, Scienze Pedagogiche, Educatore Professionale socio-pedagogico, Laurea Magistrale, Psicologia dello Sviluppo, Pastorale Giovanile, Scienze Religiose ISSR, Insegnare Religione,
Il corpo luogo di visibilità del Sé e di relazionetorna su
Con l’intervento delle Dott. Trofimena Gargano e Lara Bancheri sul tema: «Il corpo come veicolo di relazione», sabato 15 dicembre si è concluso il Corso interdisciplinare 2012-2013 dal titolo: «Giovani. Corporeità, affettività, sessualità. Approccio psico-sociologico».
La Preside, Prof. Pina Del Core, introducendo questo terzo appuntamento, ha sottolineato l’attualità del tema, in quanto la corporeità è un aspetto centrale nella cultura contemporanea. Il corpo dà visibilità all’identità del Sé ed è luogo di relazione dove l’identità stessa si costruisce e si rafforza.
La Dott. Lara Bancheri e la Dott. Trofimena Gargano hanno condotto una riflessione a “due voci”, puntualizzando che l’identità, il riconoscere cioè la propria diversità dall’altro, è strettamente connessa alla capacità di raccontare quello che si prova: «La sfida per l’adolescente è quella di trovare parole per esprimere le proprie emozioni. Durante l’infanzia, sono i genitori che assolvono il compito di dire “chi è” il bambino. Crescendo, è importante che sia lo stesso adolescente a farlo perché, raccontando quello che succede dentro di lui, impara a pensare se stesso, prova a descriversi, a pensarsi come persona integrata e autonoma». Questa operazione consente di usare simboli per esprimere stati d’animo, sensazioni somatiche, emozioni. La simbolizzazione, la capacità di formulare un pensiero e di costruire un racconto di sé, nasce dalla qualità della relazione primaria, una relazione appagante con una madre “sufficientemente buona”, che attraverso l’empatia è stata capace di cogliere il vissuto del bambino e di colmare il dolore e il limite, di riempire il tempo della sua assenza.
«La possibilità di raccontarsi - ha detto la Dott. Bancheri - non solo permette di definire la propria identità, ma anche di riconoscere la presenza dell’altro, di mentalizzare sempre di più il proprio corpo, di non sentirlo come una “cosa” estranea. Le emozioni che non possono essere pensate spesso trovano nel corpo il luogo in cui incarnarsi sotto forma di sintomi o di agiti autolesivi». Il corpo diventa allora teatro di una rappresentazione cruda e senza racconto, senza significato; una cosa che non sente, senza sentimenti. Al confine tra normalità e patologia in tal senso, sembrano potersi collocare i piercing e i tatuaggi. Il corpo è una continuità trasformativa che va dalla mente al corpo e dal corpo alla mente e che include non solo la sensorialità e la percezione, ma anche la memoria e le pulsioni. Se questo processo di continuità trasformativa e di integrazione viene ostacolato si ha un attacco al corpo.
L’adolescenza – è stato ancora sottolineato - è il periodo evolutivo in cui si assiste ad una radicale ricostruzione dell’immagine corporea, dovuta alla percezione delle trasformazioni delle dimensioni, proporzioni e modificazioni delle caratteristiche sessuali: «Si comprende come l’immagine del proprio corpo costituisca il versante fisico di un processo globale di considerazione di sé che, solo se vissuto ed elaborato positivamente nell’infanzia e nell’adolescenza, fonda nell’adulto un senso di identità stabile e positivo. Infatti, il modo di gestire la sessualità è specchio del come si “sta” in una relazione; la sessualità vissuta dalla coppia è specchio della capacità della coppia stessa di “sentirsi” nella relazione».
È importante, riconoscere ed essere attente al comportamento alimentare come uno tra i disturbi più frequenti in adolescenza. In questi casi, il corpo viene utilizzato come narratore di difficoltà profonde, di un percorso non integrato tra mente e corpo, ma soprattutto di una autonomia non raggiunta, in quanto non si è vissuta non solo una relazione primaria appagante, ma anche una dipendenza soddisfacente dalle figure primarie. In particolare, le relatrici hanno segnalato due condizioni che interessano da vicino le adolescenti: l’anoressia, intesa come il rifiuto dell’amore dei genitori, un gesto di potenza per dire a se stesse e agli altri che non si ha bisogno di niente e di nessuno, e la bulimia, dove l’oggetto-cibo è un farmaco per calmare l’angoscia della separazione e il senso dell’impotenza. È a questo livello che, hanno insistito le dott. Bancheri e Gargano, ci deve essere un’azione terapeutica, ed educativa, integrata su più fronti che incanali i bisogni, i desideri, le emozioni in modo tale che possano diventare “pensieri”: «L’attitudine a raccontare le proprie emozioni porta a scoprire la diversità dell’altro, abilita a “stare” nella relazione perché l’altro non è un oggetto, ma un “soggetto” con cui condividere contenuti, fino a costruire relazioni sessuali appaganti, di conoscenza di sé e dell’altro, di crescita reciproca, di incontro».
L’incontro si è concluso con un dibattito che ha coinvolto i presenti in sala. Molte le domande e le riflessioni avanzate: il ruolo del padre, il senso del dolore, come dire dei “no” ai figli, le conseguenze di una sessualità “staccata” dall’affettività.