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Donna: chiave del cambiamentotorna su

È un pomeriggio intenso quello vissuto lo scorso 8 marzo 2019 nell’Aula Magna «Giovanni Paolo II» della Facoltà «Auxilium» con il Convegno di studio «Giovani donne: la sfida di esserci. Contesti e scelte». La celebrazione della 32ª Giornata della Facoltà coincide anche quest’anno con la Giornata Internazionale della donna. L’occasione è dunque propizia per porre l’attenzione sul femminile, privilegiando alcuni “habitat” globalizzati del mondo giovanile e per mettersi in continuità con il Sinodo dell’ottobre 2018 su: «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale».

 

Fin dall’avvio ai lavori, da parte della Preside della Facoltà, Prof.ssa Pina Del Core, è chiaro l’intento: riflettere su aspetti socio-culturali che condizionano le nuove generazioni di donne ad “esserci” come tali, ossia come giovani e come donne, nella società e nella Chiesa, e di poter scegliere come dare il proprio contributo allo sviluppo della comunità umana.

Per Sua Ecc.za Pietro Sebastiani, Ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede, il primo a portare il suo saluto, «questo è il tempo maturo per avviare un pensiero sulla donna. Molto rimane da fare, ma l’oggi è un tempo ricco di potenzialità e la questione femminile non è un semplice affare di donne».

 

L’impegno a dare, o meglio a riconoscere, spazi di pensiero e di azione alla donna viene ribadito anche dall’Ambasciatore del Regno Unito presso la Santa Sede. Sua Ecc.za Sally Jane Axworthy interroga l’assemblea: «Che ruolo hanno le donne nella diplomazia? Quale differenza fanno le donne in questo campo? Qual è il genio femminile?». Chiara e immediata la risposta: «il genere - ribadisce - non è il valore più importante per valutare le capacità di un diplomatico: empatia e capacità relazionali possono essere “buone” o “cattive” sia in un uomo come in una donna». Forse è necessario andare oltre, per cogliere la differenza nell’avere ambasciatrici donne. Per Sua Ecc.za, le donne fanno più attenzione alla dimensione femminile e riescono a cogliere e sottolineare il valore della pace. Conclude offrendo alcuni consigli per educare le giovani donne: «Incoraggiatele a cogliere le opportunità del mondo così come è oggi; ad allargare i confini; a distinguersi, a non ad imitare gli uomini ma a dare il proprio apporto peculiare, femminile, al mondo».

 

Istanze per un cammino profetico a partire dal Sinodo sui giovani

È il Card. Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi, a intervenire per primo nella tavola rotonda che, dopo i saluti iniziali, approfondisce il tema in programma. «Devo confessare - esordisce - che non mi risulta facile inserirmi in questo dialogo con voi, non solo per le esigenze del mio lavoro istituzionale, ma soprattutto per la mia forma mentis che è marcata dalla cultura clericale, maschile ad oltranza, abituata a relegare senza scrupoli la donna a ruoli e a influssi di secondo piano».

 

Articola la sua riflessione partendo dalla sua esperienza nella recente Assemblea sinodale. Ripercorrendo le istanze più propositive del rapporto donna-Chiesa, individua nella ricerca di un nuovo paradigma antropologico la sfida fondamentale per il tempo presente, da cui derivano tre percorsi profetici femminili per una società diversa dove «la donna non solo deve occupare spazi, ma, entrandovi, è chiamata a trasformarla».

Propone inoltre di «fondare la profezia della donna contemporanea, riconosciuta e impegnata, su una autentica ed ampia cultura vocazionale», ossia su «maggiore apertura a ciò che realizza gli individui come persone, cioè le relazioni, e non solo la persona come soggetto di progetti, imprese, trasformazioni». Di qui, tre indirizzi di ricerca: cultura vocazionale, relazionale e religiosa della vita.

«Sono consapevole - conclude - che non basta sognare un mondo diverso e cercarne le condizioni, ci vuole anche il realismo di far fronte alla sfida che rappresenta impegnarsi nel mondo così come è… per dare un contributo specifico e perseverante. La chiave del cambiamento ce l’hanno alla fine le donne, che non devono temere di essere se stesse, di affermarsi come donne, ma in una prospettiva di comunione ed armonia, non di rivincita, e curare la loro educazione secondo parametri conformi alla loro identità e carismi, ed imporsi non per caratteristiche superficiali, ma per un’autentica competenza e autorevolezza».

 

Il diritto di essere giovani donne

«Il diritto di essere giovani donne è un diritto o una condizione naturale?». È l’interrogativo con cui Consuelo Corradi, docente di Sociologia Generale alla LUMSA di Roma, introduce il suo intervento. La domanda stimola a riflettere «sulla separazione e sui legami tra natura e cultura, che è l’elemento principale della grande narrazione di emancipazione fatta dal femminismo. Non è stata creata dal femminismo, ma da questo è stata brandita come un’arma per estrarre le donne dalla loro condizione di sudditanza».

Ella evidenzia validità e limiti del binomio natura-cultura nelle due prospettive di separazione e di legame, un rapporto paradossale che va ricompreso, soprattutto oggi, per assumere «il compito difficile e appassionante di pensare che abbiamo bisogno di tale separazione e, insieme, di mantenere vivi i legami tra queste due sfere della nostra umanità».

La natura dice istintualità e la persona si differenzia dall’animale per «la capacità di imbrigliare questi istinti nella gabbia della cultura». Negli ultimi 120 anni, il femminismo ha condotto «una marcia trionfale abbattendo con successo tutti i baluardi del maschilismo» generando così enormi differenze in positivo nella cultura odierna, ma ha anche alcuni limiti. Infatti, «combattendo la naturalizzazione di un ordine sociale, ha combattuto anche l’ordine naturale. Cioè ha rimesso totalmente in discussione la partizione natura/cultura, al punto da affermare che essa non esiste. Cioè la natura non ha conseguenze, non deve averne nelle vite delle donne». Ma, «è possibile per una persona, recidere ogni legame con la natura? Quali ne sarebbero le conseguenze?».

Cultura e natura sono sfere distinte, non separate nell’essere umano che è chiamato a ripensare costantemente il rapporto di equilibrio tra loro. «Credo che la libertà umana consista in questo: affermare la soggettività, il desiderio di disporre di sé, ma stando attenti a non violare quell’equilibrio naturale dell’umano, il grande tessuto del vivente […] passo dopo passo, nelle diverse epoche della storia umana deve essere ricercato e definito».

 

Giovani donne “on life”

Secondo Chiara Giaccardi, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università Cattolica di Milano, oggi «viviamo in un ambiente “misto" dove non è più possibile separare nettamente materiale e digitale. È quindi fondamentale domandarsi come valorizzare la sinergia e come abitare umanamente il mondo di oggi». Questa è una ricerca che non può prescindere dal contributo femminile, in una prospettiva di reciprocità, una dimensione dinamica dove le differenze formano una unità in cui c’è relazione e cambiamento.

La relatrice segnala tre aspetti del contributo femminile in questo tempo di vita “on life”: «La cura della relazione, che diventa luogo di individuazione anziché individualizzazione e la cura della trasmissione - la capacità di farsi mediatrici, ‘passatrici’ anziché emittenti o terminali di messaggi -; il contrasto a quella forma di disumanizzazione che è il neutro della tecnica, testimoniando l’irrinunciabilità della differenza. Dopo il maschilismo il ‘macchinismo’ della tecnica cerca di cancellare il femminile, in primis col sogno di fabbricare la vita a partire dall’uno identico anziché dall’incontro dei diversi. La donna custodisce il movimento vitale e relazionale del generare evitando la riduzione al solipsistico fabbricare». Infine, «la donna porta nell’ambiente misto un insostituibile contribuito di bellezza e tenerezza, come apertura accogliente e sollecita, antidualista e liberante all’altro visto come intero».

Infatti, «partorire nella bellezza sia riguardo al corpo che all’anima», dice uno sguardo che abbraccia ciò che c’è e anche ciò che non c’è ancora: «È un cammino di gradualità, che si fida, che genera fiducia, che crede che si possano abbandonare le zavorre e che c’è sempre una speranza per costruire».

 

Giovani donne e futuro del creato

L’ultimo intervento è affidato a Alessandra Smerilli, docente di Economia Politica alla Facoltà di Scienze dell’Educazione «Auxilium».

Dopo aver rilevato come, grazie all’apporto di alcune economiste, ci si stia rendendo conto che le relazioni sono un bene per le organizzazioni e per l’economia stessa, la relatrice si chiede quanto le giovani donne stiano facendo per muovere gli adulti al rispetto dell’ambiente e al rispetto del pianeta.

Il suo è un riferimento concreto a Greta Thunberg, Maja Brower, Alexandria Villasenor: tre adolescenti, tre ragazze che stanno sfidando la politica e le organizzazioni internazionali. Preoccupate per le sorti del pianeta, queste tre giovanissime, negli ultimi anni, hanno iniziato a protestare e a scioperare perché «che senso ha andare a scuola se i politici non ascoltano gli studiosi?».

A partire dai loro gesti e dalla loro tenacia, è nato un movimento di ragazzi e ragazze che in poco tempo è diventato globale, attivo in almeno 150 paesi. Non è la prima volta nella storia che la tenacia di giovani donne ottenga risultanti importanti per il bene comune. Oggi il riscaldamento globale sta iniziando a dispiegare i suoi effetti sul pianeta, e solo azioni congiunte e globali possono scongiurare il peggio. «Potrà - si chiede - l'innocenza delle giovani leaders adolescenti smascherare interessi economici e di parte?».

La convinzione di Greta è che una volta che si inizia ad agire la speranza si diffonde e, allora, è necessario agire perché la speranza arriverà. L’economia «in un tempo meraviglioso e difficile come il nostro può diventare quello che è nella sua etimologia: governo della casa comune. Ma per questo, c’è bisogno di una economia femminile, sobria e di comunione. Sorella economia».

 

Conclusione o nuovo inizio?

Concludendo il Convegno di studio, la moderatrice, Marcella Farina, richiama il filo rosso che attraversa le relazioni ascoltate. Ci si è infatti rivolte alle giovani di oggi, la generazione “zeta” che si trova ad affrontare inedite sfide forse più gravi e profonde rispetto alla generazione delle “millennials”.

Assicurare alle giovani di oggi la vicinanza di donne che, nei decenni passati hanno operato per preparare il presente e l’ingresso delle giovani nel terzo millennio, significa confrontarsi a partire ancora dalle domande che hanno guidato la riflessione negli anni ’90, specie nel 1998, anno del 50° della Dichiarazione dei diritti umani: Le giovani donne dove sono? Godono dei diritti senza conoscerne le fatiche della conquista? Sono davvero assicurate dalle nostre iniziative e strategie culturali e politiche?

«Di fronte alle sfide inedite - ha concluso - noi, giovani di ieri, “ci siamo”, vogliamo esservi accanto e incoraggiarvi ad osare la speranza, con fiducia e umiltà, sperare in un futuro diverso, poiché tanti semi sono stati sparsi nel campo della nostra umanità».

 

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